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Scienza

Il lockdown ci ha reso più sedentari, più obesi e quindi più vulnerabili al Covid-19

Giuliana Raffaelli

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Le ferree restrizioni imposte dai Governi durante il primo anno di pandemia hanno reso i cittadini più sedentari, più grassi e quindi più vulnerabili alle malattie, tra cui il Covid-19.

Numerosi studi lo hanno dimostrato scientificamente. L’obesità, troppo spesso definita “condizione”, è una vera e propria malattia. Una malattia eterogenea e multifattoriale, innescata non solo da parametri genetici ma anche ambientali e psicologici, che rappresenta un importante fattore di rischio per molte patologie, come ipertensione, ictus, infarto, tumori e diabete. A queste si aggiunge oggi la sindrome respiratoria acuta grave da Covid-19. L’eccesso di peso non solo predispone di più a questa nuova patologia ma anche allo sviluppo di complicanze. È stato infatti dimostrato che le persone obese hanno maggiore probabilità di non superare il Covid-19 e, quindi, di morire.

È quanto emerge, ad esempio, dal rapporto della World Obesity Federation dal titolo “Covid-19 and obesity. The cost of not addressing the global obesity crisis” presentato in occasione della Giornata mondiale dell’obesità (il 3 Marzo), che ha analizzato i dati di numerosissimi studi presentati alla revisione da parte di pari (peer review) per la pubblicazione su riviste scientifiche.

Di seguito alcuni dati. Il 43% delle persone ricoverate per Covid-19 sono obese e ciò ha portato a un aggravamento della malattia. Più dell’80% di questi casi ha avuto bisogno di terapia intensiva con ventilazione meccanica. La percentuale di mortalità è stata superiore del 26% rispetto ai casi di persone non obese. I dati aggiornati a febbraio 2021 parlano di 2,5 milioni di decessi per Covid-19 nel mondo. Di questi 2,2 milioni sono avvenuti in paesi in cui più del 50% della popolazione è classificata in sovrappeso o obesa.

Alle medesime conclusioni (obesità = maggiore rischio di contrarre il Covid-19 = alta probabilità di morte) sono giunti tanti altri studi condotti nell’ultimo anno. Uno studio di ricercatori dell’Università di Bologna pubblicato dalla rivista European Journal of Endocrinology ha evidenziato come pazienti affetti da Covid-19 che hanno anche un indice di massa corporea superiore a 30 (indipendentemente dalla presenza di altri fattori di rischio) mostrano maggiore predisposizione a sviluppare insufficienza respiratoria, di finire in terapia intensiva e di morire. E questo accade per tutti i livelli di obesità (di primo, secondo e terzo grado) ai quali si associano sempre forme molto gravi della malattia.

Lo stesso risultato è stato raggiunto da due equipe di ricercatori dell’Università di Parma e dell’azienda ospedaliera della stessa città. Lo studio, pubblicato dalla rivista Obesity Surgery, ha dimostrato come pazienti positivi al Covid-19 che si sono sottoposti a interventi di chirurgia bariatrica (la chirurgia che si occupa di ridurre l’obesità) perdendo peso, hanno avuto una migliore evoluzione della malattia rispetto a quei pazienti che non si erano ancora sottoposti allo stesso intervento.

Il problema dell’obesità è davvero molto serio e coinvolge 800 milioni di persone in tutto il mondo. I dati italiani parlano di una vera e propria emergenza. I nostri concittadini obesi sono circa 6 milioni (un adulto su dieci) e quelli in sovrappeso 25 milioni. Molto grave la situazione dei bambini: secondo l’Istat l’obesità riguarda un bambino su tre fino a 8 anni.

La fotografia scattata nell’ultimo anno di pandemia mostra una società sempre più sedentaria, obesa e depressa, dove quasi 1 italiano su 2 (il 44%) è aumentato di peso a causa delle restrizioni. La reclusione in casa, tra smart working, chiusura di centri sportivi, iniziale divieto di svolgere attività fisica all’aperto anche se individuale, eccetera eccetera, ci ha “regalato” più tempo e molti lo hanno utilizzato per sfogarsi ai fornelli.

In sintesi: ci siamo mossi di meno ma abbiamo mangiato di più. Il risultato? Nel 54% dei casi l’aumento medio del peso è stato di 4 chilogrammi. Ma 4 kg in più non corrispondono, come erroneamente si può pensare, a 4 kg aggiunti al nostro peso. Grazie infatti alla sedentarietà è stata persa massa muscolare (in media circa 2 chili) e quindi i chilogrammi effettivi acquisiti sono 6.

Le previsioni per il futuro poi, sempre grazie alla pandemia, sono pessime. È stato infatti dimostrato che la sedentarietà, cioè la mancanza di attività fisica, ha una diretta correlazione con il livello di gravità dell’infezione da Covid-19, con conseguente ospedalizzazione (soprattutto in terapia intensiva) e decessi. Lo ha dimostrato un recente studio inglese pubblicato dal British Journal of Sport Medicine.

Ricordiamo quindi, come da sempre sottolineano i bravi medici, quanto sia importante svolgere una costante attività fisica per mantenere un buono stato di salute. Muoversi, anche solo passeggiando mezz’ora al giorno, è uno dei modi più semplici per volersi bene e prendersi cura di sé, migliorando sin da subito la qualità della nostra vita.

(Credit immagine: Unsplash license)

Giuliana Raffaelli

Laureata in Scienze Geologiche, ha acquisito il dottorato in Scienze della Terra all’Università di Urbino “Carlo Bo” con una tesi sui materiali lapidei utilizzati in architettura e sui loro problemi di conservazione. Si è poi specializzata nell’analisi dei materiali policristallini mediante tecniche di diffrazione di raggi X. Nel febbraio 2021 ha conseguito il Master in Giornalismo Scientifico all'Università Sapienza di Roma con lode e premio per la migliore tesi. La vocazione per la comunicazione della Scienza l’ha portata a partecipare a moltissime attività di divulgazione. Fino a quando è approdata sull’isola di Pantelleria. Per amore. Ed è stata una passione travolgente… per il blu del suo mare, per l’energia delle sue rocce, per l’ardore delle sue genti.

Scienza

Possibile elisir di lunga vita: Topi anziani ringiovaniti con l’infusione di liquido cerebrospinale…

Redazione

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Tornare giovani senza pagare pegno: un sogno che potrebbe diventare realtà, grazie a un'innovativa terapia antiaging che cancella i segni dell’invecchiamento riprogrammando le cellule.

Somministrata ai topi a partire dalla mezza età fino alla vecchiaia, li ha ringiovaniti senza provocare tumori o altri problemi di salute. Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Nature Aging dal Salk Institute in California in collaborazione con la società Genentech del gruppo Roche.

“Siamo elettrizzati dall’idea di poter utilizzare questo approccio nell'arco della vita per rallentare l'invecchiamento negli animali: la tecnica è sicura ed efficace nei topi” afferma Juan Carlos Izpisua Belmonte del Salk Institute.

“Oltre ad affrontare le malattie legate all’età, questo approccio può fornire alla comunità biomedica un nuovo strumento per ripristinare la salute dei tessuti e dell'organismo migliorando la funzione e la resilienza delle cellule in diverse situazioni patologiche, come le malattie neurodegenerative". Per riportare indietro le lancette dell’orologio biologico, i ricercatori hanno usato un cocktail di quattro molecole (Oct4, Sox2, Klf4 e cMyc, meglio note come “fattori di Yamanaka”) in grado di riprogrammare l’epigenetica delle cellule, ovvero le modificazioni chimiche (ereditabili o acquisite per effetto dell’ambiente

o dello stile di vita) che rivestono il Dna regolandone l’espressione. Nel 2016 avevano già sperimentato l’elisir di giovinezza nei topi affetti da invecchiamento precoce, mentre in tempi più recenti avevano dimostrato che il mix è in grado di accelerare la rigenerazione dei muscoli nei topi giovani. Alla luce di questi primi esperimenti, altri gruppi di ricerca avevano provato lo stesso approccio per migliorare la funzionalità di tessuti e organi come il cuore, il cervello e il nervo ottico. Nessuno, però, aveva provato a testarne l’efficacia e la sicurezza in caso di un utilizzo prolungato nel corso della vita.

Per farlo, i ricercatori del Salk Institute hanno somministrato il cocktail di molecole a topi sani di 15 mesi fino all’età di 22 mesi (l’equivalente di una terapia assunta dai 50 ai 70 anni nell’uomo) e a topi di 12 mesi fino ai 22 mesi (dai 35 ai 70 anni nell’uomo), mentre un terzo gruppo di topi di 25 mesi (pari a 80 anni nell’uomo) è stato trattato per un mese. "Volevamo verificare che l’utilizzo di questo approccio per un arco di tempo più lungo fosse sicuro  afferma Pradeep Reddy, ricercatore del Salk Institute.” In effetti, non abbiamo riscontrato alcun effetto negativo sulla salute, né sul comportamento o sul peso corporeo di questi animali”. Alla fine della terapia, infatti, nessun topo presentava alterazioni delle cellule del sangue, anomalie neurologiche o tumori.

I topi più anziani trattati per un mese non hanno mostrato segni di ringiovanimento, mentre i topi trattati per sette o dieci mesi sono migliorati, sia per quanto riguarda l’epigenetica delle cellule della pelle e dei reni, sia per le molecole 'spia' del metabolismo presenti nel sangue. Gli effetti dell’elisir di giovinezza, però,

non risultano apprezzabili a metà del periodo di trattamento, ma solo alla fine. Questo potrebbe indicare che i fattori di Yamanaka non fermano soltanto le lancette dell'orologio biologico, ma riescono proprio a farle tornare indietro.

Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi

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Scienza

Etna, la violenta eruzione del 10 febbraio. Tra flussi piroclastici ed effetto triboelettrico. VIDEO e FOTO

Giuliana Raffaelli

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Il 10 febbraio l’Etna si è risvegliato. Mettendo in scena il primo parossismo del nuovo anno. Un parossismo di violenza inaspettata e anche inconsueta per l’Etna, che di norma si manifesta con eruzioni stromboliane e colate di lava di modesta entità. Una violenza degna dei più pericolosi vulcani indonesiani e giapponesi. Una potenza che ha generato un raro fenomeno fisico, noto come triboelettricità.

Ma vediamo più in dettaglio che cosa è successo.

Dopo un periodo di calma, in cui si sono verificate soltanto sporadiche e lievi esplosioni, “a’ muntagna” è entrata nuovamente in attività mostrando uno dei più straordinari spettacoli degli ultimi anni. I primi segnali sono stati registrati nel pomeriggio del 10 febbraio e hanno avuto luogo nel cratere di sud-est (a circa 3mila metri di quota). L’attività stromboliana ha formato un’alta fontana di lava e una colata che è scesa lungo il versante sud-ovest. Poi, all’improvviso, una nube di cenere si è levata alta nel cielo, fino a raggiungere un’altezza stimata tra gli 8 e i 10 km. Infine una parte del cono è collassata, forse a causa dell’apertura di una fessura eruttiva lungo il fianco sud-est, dando luogo a un flusso piroclastico. Quest’ultimo è annoverato tra i più violenti e spaventosi fenomeni vulcanici. Si tratta di vere e proprie valanghe incandescenti (fino a 1000°C) formate da un mix di gas, cenere e frammenti di roccia che precipitano lungo i fianchi vulcanici a velocità impressionanti. Velocità che possono raggiungere anche i 700 km orari. Impensabili per questo tipo di prodotti ma possibili grazie alla formazione di cuscinetti d’aria tra colata e terreno. Fenomeni rari per l’Etna ma di cui è stato protagonista 15mila anni fa, durante le eruzioni pliniane dell’ultima fase della sua formazione. Fase che ha dato origine all’immensa caldera che vediamo oggi e che disegna la skyline del vulcano, nella quale si sono impostati l’attuale cratere centrale e quello di nord-est.

Durante questa ultima nuova eruzione, ripresa dall’Ingv e postata nel canale Youtube dell’ente, gli sguardi più attenti hanno notato un fenomeno piuttosto raro, che ha aggiunto fascino alla già straordinaria bellezza dell’evento.

Nel buio della notte, tra boati e crepitii, tra il grigio della nube eruttiva e il rosso incandescente dei prodotti emessi dal vulcano, ha avuto luogo un fenomeno noto come triboelettricità. Un raro fenomeno che un giovane siciliano, Giuseppe Tonzuso (studente di Geologia), è riuscito a immortalare. Dalla nube eruttiva, densa e minacciosa, fuoriescono fulmini che rendono ancora più magica e inquietante la notte etnea.

Ma come si forma questo fenomeno? Ce lo spiega Giuseppe Tonzuso nel suo post su facebook “Il materiale piroclastico (caratterizzato da differenti proprietà) interagendo, genera cariche locali di segno opposto. Si viene a creare una differenza di potenziale che, quando è sufficientemente elevata, supera la resistenza dell’aria e determina il passaggio della scarica elettrica”. Si formano così i fulmini nella colonna eruttiva.

Ma sono davvero tante le foto scattate e pubblicate su internet. Tra le altre vogliamo menzionare quella di Dario Giannobile, ingegnere di Siracusa che in passato ha stregato la Nasa e l’Osservatorio di Greenwich, ricevendo numerosi premi. La sua ultima foto è stata pubblicata dall’Istituto nazionale di Astrofisica di Catania.

(Foto di Dario Giannobile)

L’immagine dell’Etna, acquisita alle 9.50 UTC dell’11 febbraio da uno dei satelliti Sentinel-2, è stata anche scelta come immagine del giorno (12 febbraio) dal progetto Copernicus dell’Unione europea. Essa mostra il raffreddamento del flusso di lava emesso sul fianco meridionale del vulcano.

(Foto di Sentinel-2)

(Credit immagine di copertina: Giuseppe Tonzuso)

Giuliana Raffaelli

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Cultura

Oggi è il 10° World Radio Day. Alcuni cenni storici della grande scoperta tutta italiana

Direttore

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Oggi,  13 febbraio 2022, è il World Radio Day.

La ricorrenza è alla sua decima edizione, infatti era l’anno 2012 quando l’Unesco ha deciso di celebrare il rapporto evidente che esiste tra radio e società.

SI tratta di una data non scelta a caso, visto che nello stesso giorno del 1946 veniva fondata la radio delle Nazioni Unite.

La giornata è organizzata da Radiospeaker.it che terrà una maratona radiofonica dalle ore 10 alle ore 18, durante la quale interverranno ospiti, speaker, e altri del settore, con il coinvolgimento di altre radio nazionali e locali.

E’ possibile seguire la diretta attraverso i canali social del portale.

Il telegrafo

La commemorazione di Guglielmo Marconi non poteva non essere un grandissimo evento. L’inventore bolognese che sconvolse la comunicazione già da fine ottocento, rendendo possibile, con una serie di esperimenti, trasmettere informazioni, tramite onde elettromagnetiche a 2 km. con un segnale in codice morse. Questo era fatto di punti e linee.

Ma il genio italiano dopo soli sei mesi si superò e superò anche l’Oceano Atlantico, riuscendo a trasmettere quelle linee e quei punti in America: aveva inventato il telegrafo.

La radio

Ma la radio moderna, composta di musica parole, la si deve all’inventore canadese Reginald Fessenden che aveva scoperto come trasformare i segnali  in un mezzo di diffusione per la musica e la voce.
Correva l’anno 1906, quando lo stesso scienziato produsse e condusse il primo programma radiofonico della storia.

In Italia, invece la prima società radiofonica, la URI, nasceva soltanto nel 1924 a Roma, ricoprendo il ruolo, inizialmente, di strumento di propaganda politica.

Dagli anni ’40 la radio non si è più fermata e mantiene sempre il suo ruolo importantissimo, nonchè il suo fascino senza tempo.

Marina Cozzo

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