Scienza
Una molecola per la cura del Parkinson. Eccellenti risultati su modello animale
Trasformare una specifica molecola (chiamata dai ricercatori OligoGM1), che ha dimostrato essere capace di superare la barriera ematoencefalica, in un farmaco in grado di modificare e contrastare la sintomatologia motoria e i danni biochimici della malattia di Parkinson sporadico. Questo l’ambizioso obiettivo di un gruppo di ricercatori dell’Università degli Studi di Milano premiato il 16 giugno scorso durante il primo evento sull’innovazione targato UniMi Innova.
In dettaglio, il progetto è risultato tra i cinque vincitori del Seed4Innovation, il primo programma di scouting dell’università meneghina per individuare progetti di innovazione all’interno della comunità accademica.
Il gruppo di studio guidato da Elena Chiricozzi, ricercatrice in biochimica, e Sandro Sonnino, professore ordinario di chimica biologica, afferenti al Dipartimento di biotecnologie mediche e medicina traslazionale, indaga da molti anni la malattia di Parkinson. Il loro ultimo articolo, pubblicato dalla rivista Scientific Reports (nel marzo 2020), riferisce di una nuova tecnologia per la cura e il miglioramento della forma sporadica della malattia.
Ma cerchiamo di capire meglio di cosa si tratta. Innanzitutto ricordiamo che il Parkinson è una malattia neurodegenerativa progressiva che porta al lento deterioramento del controllo motorio e della qualità della vita. Seconda malattia neurodegenerativa più diffusa nel mondo dopo l’Alzheimer, è una patologia estremamente grave che colpisce circa cinque milioni di persone, 300 mila solo in Italia.
Il vero problema del Parkinson è che non esistono farmaci in grado di rimuoverne la sintomatologia. Questo per il fatto che le molecole finora testate non riescono a raggiugere il cervello, cioè non riescono a superare la materia ematoencefalica. L’unica possibilità sarebbe somministrarla direttamente attraverso i ventricoli cerebrali, pratica ovviamente non possibile, sia per l’elevato numero di malati che per la drammaticità del trattamento stesso.
Dal 2017 i ricercatori dei laboratori dell’Università di Milano stanno indagando i meccanismi molecolari alla base dell’insorgenza di tale malattia dovuta alla riduzione del ganglioside GM1, che si è scoperto (solo recentemente) essere iniziatore della patogenesi parkinsoniana. I gangliosidi sono una classe di lipidi che compongono la membrana cellulare e sono particolarmente abbondanti nel sistema nervoso. A livello del sistema nervoso centrale essi sono in grado di promuovere i processi rigenerativi e prevenire la neurodegenerazione. In particolare si è scoperto che il ganglioside GM1 va incontro a una progressiva riduzione dovuta all’invecchiamento e/o a fattori epigenetici che gradualmente compromettonno le funzioni neuronali. I ricercatori ipotizzano che la riduzione di GM1 a livello della membrana neuronale in pazienti parkinsoniani possa dare inizio al processo neurodegenerativo.
I primi studi (in vitro) hanno suggerito che la catena oligosaccaridica del GM1 (ovverol’OligoGM1) gioca un ruolo chiave nel ridurre la sintomatologia. Grazie infatti alla sintetizzazione dell’OligoGM1 è stato dimostrato che solo questa costituisce l’effettiva componente bioattiva per gli effetti neuro-modulatori.
L’elaborazione dei dati della seconda fase di trial, stavolta in vivo (su modello murino), ha permesso di ottenere eccellenti risultati, verificando che la somministrazione sistemica di questa nuova molecola porta alla riduzione dei sintomi motori tipici della malattia di Parkinson e al recupero biochimico e funzionale dei neuroni dopaminergici. Somministrata a topi che avevano sviluppato la malattia di Parkinson (quindi con grosse difficoltà di movimento e problemi di equilibrio) ha infatti permesso, nel giro di 10 giorni, di riportare le cavie alle caratteristiche di un animale sano.
L’OligoGM1, in più, ha una struttura chimica che non presenta fattori critici sul profilo di tossicità ed è in grado di attraversare la barriera ematoencefalica rimanendo metabolicamente invariata. Si è scoperto che essa agisce a livello della superficie cellulare attivando una serie di segnali intracellulari neurotrofici, neuro-protettivi e neuro-ristorativi che permettono di contrastare le cause del morbo di Parkinson sporadico: stress ossidativo, neuro-infiammazione, eccito-tossicità, disfunzione mitocondriale e accumulo di alpha-sinucleina.
I risultati ottenuti sono davvero molto interessanti. Essi permettono di “attaccare” efficacemente la forma sporadica di Parkinson per la quale ancora, a differenza delle forme familiari della malattia (dove l’alterazione di uno o più specifici geni causano l’insorgenza della malattia) non sono disponibili teorie in grado di spiegare la sua complessa eziologia. Nonostante le molteplici ipotesi avanzate, nessuna di queste è stata infatti in grado di risolvere con successo le manifestazioni centrali e periferiche del Parkinson sporadico.
I ricercatori sono quindi estremamente speranzosi che questa molecola possa effettivamente diventare un farmaco e in tempi brevi possa raggiungere i banchi delle nostre farmacie e di quelle di tutto il mondo.
(Credit immagine: Pixabay license)
Giuliana Raffaelli
Scienza
Possibile elisir di lunga vita: Topi anziani ringiovaniti con l’infusione di liquido cerebrospinale…
Tornare giovani senza pagare pegno: un sogno che potrebbe diventare realtà, grazie a un'innovativa terapia antiaging che cancella i segni dell’invecchiamento riprogrammando le cellule.
Somministrata ai topi a partire dalla mezza età fino alla vecchiaia, li ha ringiovaniti senza provocare tumori o altri problemi di salute. Lo dimostra lo studio pubblicato sulla rivista Nature Aging dal Salk Institute in California in collaborazione con la società Genentech del gruppo Roche.
“Siamo elettrizzati dall’idea di poter utilizzare questo approccio nell'arco della vita per rallentare l'invecchiamento negli animali: la tecnica è sicura ed efficace nei topi” afferma Juan Carlos Izpisua Belmonte del Salk Institute.
“Oltre ad affrontare le malattie legate all’età, questo approccio può fornire alla comunità biomedica un nuovo strumento per ripristinare la salute dei tessuti e dell'organismo migliorando la funzione e la resilienza delle cellule in diverse situazioni patologiche, come le malattie neurodegenerative". Per riportare indietro le lancette dell’orologio biologico, i ricercatori hanno usato un cocktail di quattro molecole (Oct4, Sox2, Klf4 e cMyc, meglio note come “fattori di Yamanaka”) in grado di riprogrammare l’epigenetica delle cellule, ovvero le modificazioni chimiche (ereditabili o acquisite per effetto dell’ambiente
o dello stile di vita) che rivestono il Dna regolandone l’espressione. Nel 2016 avevano già sperimentato l’elisir di giovinezza nei topi affetti da invecchiamento precoce, mentre in tempi più recenti avevano dimostrato che il mix è in grado di accelerare la rigenerazione dei muscoli nei topi giovani. Alla luce di questi primi esperimenti, altri gruppi di ricerca avevano provato lo stesso approccio per migliorare la funzionalità di tessuti e organi come il cuore, il cervello e il nervo ottico. Nessuno, però, aveva provato a testarne l’efficacia e la sicurezza in caso di un utilizzo prolungato nel corso della vita.
Per farlo, i ricercatori del Salk Institute hanno somministrato il cocktail di molecole a topi sani di 15 mesi fino all’età di 22 mesi (l’equivalente di una terapia assunta dai 50 ai 70 anni nell’uomo) e a topi di 12 mesi fino ai 22 mesi (dai 35 ai 70 anni nell’uomo), mentre un terzo gruppo di topi di 25 mesi (pari a 80 anni nell’uomo) è stato trattato per un mese. "Volevamo verificare che l’utilizzo di questo approccio per un arco di tempo più lungo fosse sicuro afferma Pradeep Reddy, ricercatore del Salk Institute.” In effetti, non abbiamo riscontrato alcun effetto negativo sulla salute, né sul comportamento o sul peso corporeo di questi animali”. Alla fine della terapia, infatti, nessun topo presentava alterazioni delle cellule del sangue, anomalie neurologiche o tumori.
I topi più anziani trattati per un mese non hanno mostrato segni di ringiovanimento, mentre i topi trattati per sette o dieci mesi sono migliorati, sia per quanto riguarda l’epigenetica delle cellule della pelle e dei reni, sia per le molecole 'spia' del metabolismo presenti nel sangue. Gli effetti dell’elisir di giovinezza, però,
non risultano apprezzabili a metà del periodo di trattamento, ma solo alla fine. Questo potrebbe indicare che i fattori di Yamanaka non fermano soltanto le lancette dell'orologio biologico, ma riescono proprio a farle tornare indietro.
Salvatore Battaglia Presidente Accademia delle Prefi
Scienza
Etna, la violenta eruzione del 10 febbraio. Tra flussi piroclastici ed effetto triboelettrico. VIDEO e FOTO
Il 10 febbraio l’Etna si è risvegliato. Mettendo in scena il primo parossismo del nuovo anno. Un parossismo di violenza inaspettata e anche inconsueta per l’Etna, che di norma si manifesta con eruzioni stromboliane e colate di lava di modesta entità. Una violenza degna dei più pericolosi vulcani indonesiani e giapponesi. Una potenza che ha generato un raro fenomeno fisico, noto come triboelettricità.
Ma vediamo più in dettaglio che cosa è successo.
Dopo un periodo di calma, in cui si sono verificate soltanto sporadiche e lievi esplosioni, “a’ muntagna” è entrata nuovamente in attività mostrando uno dei più straordinari spettacoli degli ultimi anni. I primi segnali sono stati registrati nel pomeriggio del 10 febbraio e hanno avuto luogo nel cratere di sud-est (a circa 3mila metri di quota). L’attività stromboliana ha formato un’alta fontana di lava e una colata che è scesa lungo il versante sud-ovest. Poi, all’improvviso, una nube di cenere si è levata alta nel cielo, fino a raggiungere un’altezza stimata tra gli 8 e i 10 km. Infine una parte del cono è collassata, forse a causa dell’apertura di una fessura eruttiva lungo il fianco sud-est, dando luogo a un flusso piroclastico. Quest’ultimo è annoverato tra i più violenti e spaventosi fenomeni vulcanici. Si tratta di vere e proprie valanghe incandescenti (fino a 1000°C) formate da un mix di gas, cenere e frammenti di roccia che precipitano lungo i fianchi vulcanici a velocità impressionanti. Velocità che possono raggiungere anche i 700 km orari. Impensabili per questo tipo di prodotti ma possibili grazie alla formazione di cuscinetti d’aria tra colata e terreno. Fenomeni rari per l’Etna ma di cui è stato protagonista 15mila anni fa, durante le eruzioni pliniane dell’ultima fase della sua formazione. Fase che ha dato origine all’immensa caldera che vediamo oggi e che disegna la skyline del vulcano, nella quale si sono impostati l’attuale cratere centrale e quello di nord-est.
Durante questa ultima nuova eruzione, ripresa dall’Ingv e postata nel canale Youtube dell’ente, gli sguardi più attenti hanno notato un fenomeno piuttosto raro, che ha aggiunto fascino alla già straordinaria bellezza dell’evento.
Nel buio della notte, tra boati e crepitii, tra il grigio della nube eruttiva e il rosso incandescente dei prodotti emessi dal vulcano, ha avuto luogo un fenomeno noto come triboelettricità. Un raro fenomeno che un giovane siciliano, Giuseppe Tonzuso (studente di Geologia), è riuscito a immortalare. Dalla nube eruttiva, densa e minacciosa, fuoriescono fulmini che rendono ancora più magica e inquietante la notte etnea.
Ma come si forma questo fenomeno? Ce lo spiega Giuseppe Tonzuso nel suo post su facebook “Il materiale piroclastico (caratterizzato da differenti proprietà) interagendo, genera cariche locali di segno opposto. Si viene a creare una differenza di potenziale che, quando è sufficientemente elevata, supera la resistenza dell’aria e determina il passaggio della scarica elettrica”. Si formano così i fulmini nella colonna eruttiva.
Ma sono davvero tante le foto scattate e pubblicate su internet. Tra le altre vogliamo menzionare quella di Dario Giannobile, ingegnere di Siracusa che in passato ha stregato la Nasa e l’Osservatorio di Greenwich, ricevendo numerosi premi. La sua ultima foto è stata pubblicata dall’Istituto nazionale di Astrofisica di Catania.
(Foto di Dario Giannobile)
L’immagine dell’Etna, acquisita alle 9.50 UTC dell’11 febbraio da uno dei satelliti Sentinel-2, è stata anche scelta come immagine del giorno (12 febbraio) dal progetto Copernicus dell’Unione europea. Essa mostra il raffreddamento del flusso di lava emesso sul fianco meridionale del vulcano.
(Foto di Sentinel-2)
(Credit immagine di copertina: Giuseppe Tonzuso)
Giuliana Raffaelli
Cultura
Oggi è il 10° World Radio Day. Alcuni cenni storici della grande scoperta tutta italiana
Oggi, 13 febbraio 2022, è il World Radio Day.
La ricorrenza è alla sua decima edizione, infatti era l’anno 2012 quando l’Unesco ha deciso di celebrare il rapporto evidente che esiste tra radio e società.
SI tratta di una data non scelta a caso, visto che nello stesso giorno del 1946 veniva fondata la radio delle Nazioni Unite.
La giornata è organizzata da Radiospeaker.it che terrà una maratona radiofonica dalle ore 10 alle ore 18, durante la quale interverranno ospiti, speaker, e altri del settore, con il coinvolgimento di altre radio nazionali e locali.
E’ possibile seguire la diretta attraverso i canali social del portale.
Il telegrafo
La commemorazione di Guglielmo Marconi non poteva non essere un grandissimo evento. L’inventore bolognese che sconvolse la comunicazione già da fine ottocento, rendendo possibile, con una serie di esperimenti, trasmettere informazioni, tramite onde elettromagnetiche a 2 km. con un segnale in codice morse. Questo era fatto di punti e linee.
Ma il genio italiano dopo soli sei mesi si superò e superò anche l’Oceano Atlantico, riuscendo a trasmettere quelle linee e quei punti in America: aveva inventato il telegrafo.
La radio
In Italia, invece la prima società radiofonica, la URI, nasceva soltanto nel 1924 a Roma, ricoprendo il ruolo, inizialmente, di strumento di propaganda politica.
Dagli anni ’40 la radio non si è più fermata e mantiene sempre il suo ruolo importantissimo, nonchè il suo fascino senza tempo.
Marina Cozzo
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